Ciò che sto per raccontarvi è successo a mio padre, perciò credo opportuno dirvi, brevemente, qualcosa che lo riguarda; mio padre, Berardino Natale, nato il 4 Agosto 1887, lo stesso anno di Padre Pio, è deceduto il 25 Agosto 1973. I genitori, Antonio Natale e Felicia Russo, erano contadini-pastori perché, oltre ai campi da coltivare, avevano alcuni ovini e mio padre seguì i genitori nel lavoro; anche perché, a quei tempi, non vi erano altre possibilità, specialmente per le persone povere.
Sposatosi con Angela Maria De Bonis, hanno avuto sette figli, di cui una deceduta ad appena due anni. Ha fatto il servizio militare partecipando alla guerra e subendo la prigionia in Africa. Era un uomo dal carattere buono e calmo, anche se, qualche volta, appariva duro. Tornato a casa, dopo la prigionia, riprese il lavoro dei campi. Era quasi sempre in campagna a lavorare dall’alba al tramonto e, cosa rara, mentre lavorava, pregava. Noi, figlioli, ci lasciava mentre ancora dormivamo, mentre lui si recava a lavorare; ci accorgevamo del lavoro già fatto solo quando veniva a chiamarci per andare ad aiutarlo. Ricordava, per averlo sentito dire, perché era analfabeta, che Dio disse ad Adamo, quando lo cacciò dal paradiso terrestre: «Guadagnerai il pane col sudore della tua fronte» («Con il sudore del tuo volto mangerai il pane», Gn. 3,19). Queste parole gli sono rimaste impresse nella sua mente e le riteneva, non come una condanna, ma come un dovere, tanto da iniziare il lavoro col segno della croce, baciando la zappa. È raro vedere questi esempi! Ogni volta che potava il vigneto, aveva un bel vigneto e alberi da frutta, rivolgeva al Signore questa preghiera: «Signore, fa che coloro che mangeranno questi frutti e berranno il vino di questa vigna, possono avere la salute del corpo e vìvere nella tua grazia».
Mio padre pregava molto ed aveva un modo tutto suo di farlo. Ricordo che, durante la preghiera, sentendosi peccatore, si dava certi colpi al petto che sembrava volesse sfondarlo; e poi, quella Avù Maria – Ave Maria – detta non solo con le labbra, ma con il cuore e con vero amore di figlio verso la Mamma Celeste, che impressionava veramente i presenti. Il Signore esaudiva il suo modo di pregare semplice, ma fatto con fede, da meritare, anche alcuni doni particolari. Molti si raccomandavano alle sue preghiere e gli chiedevano consigli. Padre Pio aveva una profonda stima non solo verso i Confratelli che erano nel suo stesso convento, ma verso tutti gli altri Confratelli e di coloro di cui aveva la direzione spirituale, come nel mio caso; aveva un affetto particolare anche per i parenti dei frati, specialmente per i genitori.
Ciò che sto per dirvi è successo a mio padre, che Padre Pio, affettuosamente, come noi suoi figli, chiamava «Tatà».
EPISODIO
Il mese di gennaio del 1956, fu un mese molto freddo e rigido; fece tanta neve da lasciare isolati il convento ed il paese, che erano irraggiungibili sia a piedi che con la macchina. Il paesaggio era bello, tutto bianco ovattato di neve; mentre aspettavo Padre Pio ammiravo il panorama. Ero estasiato e volendo rendere partecipe di questa visione il Padre, lo chiamo e l’accompagno sul terazzino e dico: «Padre, guardi che meraviglia,… che bellezza!…». Padre Pio, anziché ammirare il panorama mi chiede: «Dimmi un po’, Tatà come sta?», ed io: «Padre, non lo so…, con tutta questa neve, il convento è isolato dal paese e non ho alcuna notizia». Padre Pio: «…eh, un padre pensa a tanti figli e tanti figli non pensano al papà…». Ed io: «Padre, son sicuro che sta bene. Se è in campagna non gli manca niente, lì c’è tutto, c’è ogni provvidenza, tanto che da lì portano i viveri a casa.. e poi c’è anche il boschetto per la legna…». «… eh, ripete, un papà pensa a tanti figli e tanti figli non pensano al papà». Questa frase cominciava a darmi fastidio. Poi continuò: «Va’ in cucina, sotto la mensa troverai degli stivali, mettili e scendi in paese e portami notizie di Tatà». Io: «Padre, come faccio? La neve è alta e non mi sento ancora bene…, sono malato…». Il padre insiste: «Va’ e non ti preoccupare, ti accompagnerò io; anzi, va’ pure dalla signorina Dalla Croce, poi passa dalle sorelle Ventrella, che abitano in Via Regina Margherita; di fronte c’è il quadro della Madonna; portami anche loro notizie, e da parte mia, dì loro: Anche se ci separa la neve…per lo spirito non esiste alcuna distanza: Padre Pio vi sta vicino e vi manda la sua benedizione».
Parto dal convento e scendo in paese, non senza difficoltà. Porto la benedizione del Padre a queste persone e arrivo, finalmente, a casa dei miei. Come immaginavo, Tatà era in campagna. Dico a mamma: «Guarda che Padre Pio vuole avere notizie di Tatà». Mamma risponde con le stesse parole che avevo detto al Padre: Figlio mio, papà sta in campagna e non so niente di lui…c’è tanta neve, ma là non gli manca niente: c’è ogni ben di Dio, c’è il fuoco…». Mentre stavamo ancora parlando, arriva mio fratello Giuseppe e, anche a lui, manifesto il desiderio di Padre Pio e gli dico di andare in campagna per portargli notizie di Tatà. Mio fratello, disponibilissimo, parte per la campagna, distante cinque o sei chilometri dal paese, in località detta “lu ruscito”, mentre io ritorno al convento. Appena arrivato, vado da Padre Pio e vedendo la porta della stanza aperta, entro e gli dico: «Padre, Tatà è in campagna ed ora è andato mio fratello per vedere come sta e per portarci sue notizie». Padre Pio, serio: «Un papà pensa a tanti figli…». Ed io: «Ma, Padre, non c’è da preoccuparsi, la c’è ogni ben di Dio». Intanto mio fratello, arrivato in campagna, trova papà a letto, immobile, il fuoco spento, tutto raffreddato e più morto che vivo.
Mio padre, appena lo vede, rincuorato dice: «Figlio mio, meno male che sei venuto: è il Signore e la Madonna che ti hanno mandato; sono tre giorni e tre notti che sono a letto con la febbre forte, senza mangiare e bere, pieno di freddo e senza potermi muovere: sono sicuro che non sarei arrivato a questa sera». Il figlio: «Papà, sono venuto perché Padre Pio desiderava tue notizie!». Poi, gli aggiusta le coperte, accende il fuoco e gli prepara un decotto, una tisana calda, e gliela fa bere. Appena si riprende lo convince ad andare in paese. Sella il mulo, mettendo delle fascine a destra e a sinistra, in modo da formare una specie di culla al centro, vi fa salire Tatà, coprendolo con delle coperte e lo accompagna per un tratto di strada; il mulo lo porta fino a casa, mentre lui ritorna in campagna. Il giorno dopo, appena finito il pranzo, accompagno Padre Pio nella stanza e, prima di lasciarlo, dice ancora: «Adesso mettiti di nuovo gli stivali, va’ a casa e portami notizie di Tatà». Arrivato a casa trovo Tatà a letto con la febbre. Appena mi vede, prima che chiedessi notizie, mi dice: «Figlio mio, quanto dobbiamo essere grati a Dio di averci dato Padre Pio; se non fosse stato per lui sarei morto solo ed abbandonato»;e mi racconta ciò che aveva sofferto in quei giorni. Prendo dalla tasca una caramella e gli dico: «Mangiala, ti farà certamente bene e ti metterà in sesto».
Tatà aveva una fede semplice come quella dei bambini, per cui dico: «Tatà, hai detto ch’eri solo ed abbandonato, ma con te non vi era l’Angelo Custode ed i tuoi santi avvocati e protettori? In quei momenti non ti è venuto il pensiero di rivolgerti a loro?». Papà: «Figlio mio, non ci ho proprio pensato; l’unico pensiero, che mi era sempre davanti, era quello di morire da un momento all’altro». Dopo avergli fatto coraggio, ritorno in convento e racconto tutto a Padre Pio e lui, ancora con quel ritornello: «Un papà pensa a tanti figli e tanti figli non pensano ad un papà». Dopo quello che era capitato a mio padre, queste parole erano come una stilettata che penetrava e feriva il mio cuore; ho desiderato veramente non sentirle più. L’indomani, mentre m’intrattenevo con Padre Pio, nel corridoio, e gli altri frati erano nelle proprie celle, vedo in fondo al corridoio una persona, quasi un’ombra, tanto che non riuscivo a distinguerla bene. Il sole picchiava talmente forte sulla neve, che era sul davanzale della finestra, che abbagliava la vista; dai movimenti sembrava mio padre. Quando si avvicinò vidi che era proprio lui, e dico: «Padre, Padre, è Tatà». Papà s’inginocchia davanti a Padre Pio, gli bacia la mano e dice: «Grazie, Padre, per quello che avete fatto per me». Padre Pio l’aiuta a rialzarsi e gli dice: «Diamoci un abbraccio!», lo abbraccia poi gli chiede: «Ma come hai fatto ad arrivare in convento?». Mio padre: «Questi, – rivolto a me -, ieri mi ha dato una caramella dopo averla presa la febbre è sparita e, questa mattina, sentendomi meglio, sono venuto a ringraziarti». Prima di andare via, Padre Pio gli dice: «Senti Tatà, quando torni a casa mettiti a letto; se non vuoi stare a letto, riguardati e sta’ al caldo. Sta’ attento perché una ricaduta è peggio della situazione di prima e può essere fatale». Dopo avere ricevuto la benedizione si abbracciano e, Padre Pio, mi fa cenno di accompagnarlo alla porta, mentre l’accompagno gli faccio la stessa raccomandazione. Erano delle belle giornate piene di sole; la neve incominciava a sciogliersi. Mio padre si era ripreso abbastanza bene e cominciava a preoccuparsi del figlio che era rimasto in campagna; dice a mia madre: «Senti, ormai sto bene, che ci faccio qui mentre Giuseppe è in campagna? Vado a dargli il cambio, lui è giovane ed ha tanti amici qui e può divertirsi un po’». Prepara qualcosa che poteva servirgli e va in campagna, poi rimanda mio fratello in paese. Era passato appena qualche giorno, ed ecco, un’altra ondata di freddo con una nevicata più abbondante della prima volta. Una forte emicrania lo costringe di nuovo a letto; sente freddo e rimane immobile nel letto, come la volta precedente. Prima di perdere i sensi si ricorda di quello che gli avevo detto e si rivolge all’Angelo custode ed ai suoi santi protettori: San Giovanni Battista e San Matteo, chiedendo aiuto e protezione. Passato il maltempo, quando ci siamo rivisti a San Giovanni Rotondo, mi dice: «Figlio mio, sapessi cosa mi è successo e, con le lacrime agli occhi racconta: “Mi sono sentito di nuovo male, peggio della prima volta, però, mi sono ricordato di quello che mi avevi detto ed ho pregato i miei santi protettori. Dopo un po’ entrano due personaggi in casa. Si avvicinano e mi chiedono come sto e se desidero qualcosa. Non li avevo mai visti. Con un fil di voce ho chiesto di accendere il fuoco e di farmi un decotto, indicando loro dove prendere la legna ed i fiammiferi e le erbe per il decotto. Mentre uno accendeva il fuoco e preparava ciò che gli avevo chiesto, l’altro mi accomodò il letto e vedendomi tremare di freddo mise sulle coperte anche la cappa. Poi portarono la bevanda e mi aiutarono a berla. Figlio mio, non ti so dire quant’era buona e saporita; lo sento ancora nella gola, sento il suo profumo… e, grazie a questi giovani mi sono ripreso. Mentre stavano per andare via, dico: “Come posso ringraziarvi, non so chi siete, non vi conosco e non so dove abitate”. Uno di loro, rispose: “Come, ci hai chiamati e non sai chi siamo?”. Ed io: “Ma io non ho chiamato nessuno”. Dicono: “Io sono San Giovanni”, e l’altro, “Io sono San Matteo”.
Detto questo se ne sono andati». Nel raccontarmi questo si è commosso e le lacrime gli scendevano sul volto. Ritornato in convento portai la notizia di Tatà a Padre Pio e gli raccontai quello che gli era successo. Padre Pio disse: «Eh no, questo desidero che sia lui a raccontarmelo». Dopo alcuni giorni, mio padre venne in convento per salutare Padre Pio e, dopo essersi abbracciati, il Padre l’invita a sedersi con lui, sul terrazzino e gli chiede: «Tatà, ora raccontami quello che ti è capitato in campagna». Mio padre gli raccontò ciò che mi aveva riferito, senza omettere neppure una virgola.
«Vedi, dice Padre Pio, come i santi ci vogliono bene! E come ci vogliono bene Gesù e la Madonna, perché sono essi che li hanno mandati. Siamone sempre grati!». Nel dire questo anche lui si commosse. Quella mattina, Padre Pio, aveva un volto bellissimo, tanto che dico: «Come siete bello questa mattina! Ci vorrebbe proprio una fotografia». E il Padre, quasi divertito, riprese: «E fammela». Non persi l’occasione; tirai fuori dalla manica una macchinetta che avevo per riprendere il panorama con la neve e mi dispongo per fare la foto. Padre Pio nel vedere tirare fuori la macchinetta fotografica, si mette a ridere, con un sorriso meraviglioso. Mentre scattavo la foto quel sorriso si era già attenuato.
Questa è la foto che scattai in quell’occasione. Gennaio 1956.
(tratto da “Fra Daniele racconta…le sue esperienze con Padre Pio” di Padre Remigio Fiore cappuccino – Edizioni Frati Cappuccini 2001)