Il transito

Il transito

La morte dello zio, fra Daniele, ha lasciato un senso di vuoto, un profondo sconforto e dolore in me, parenti, Confratelli e amici. È stata la perdita di una persona, la più cara, che realmente ci apparteneva, alla quale ricorrevamo abitualmente in ogni situazione difficile e particolare. Ci siamo sentiti, in un attimo, orfani e come smarriti. Nei giorni precedenti il suo transito, mi trovavo in famiglia, in seguito ad un male preoccupante. Fra Daniele, col permesso dei suoi superiori, dimorava a San Giovanni Rotondo, in via Cairoli, dovendo frequentemente recarsi all’ospedale Casa Sollievo della Sofferenza sia per ricoveri che a motivo delle terapie intensive cui era sottoposto.

Già in passato da fra Daniele, avevo ricevuto delle confidenze che si intensificarono proprio in quelle circostanze; mi manifestava ciò che conservava nel cuore, soprattutto le sue intimità con Gesù, la Mamma Celeste e i suoi incontri e colloqui con Padre Pio. Mentre raccontava le sue esperienze il volto si trasformava: i suo i occhi luccicavano di commozione e, sottovoce, ripeteva sempre: «Quanto amore e quanto bene ho avuto da Gesù, la Madonna e Padre Pio. Non potrò mai ricambiare e ringraziare abbastanza!». Tali confidenze e altri pensieri si accavallavano nella mente confusa, mentre lo guardavo immobile sul lettino dell’ospedale; sembravo un automa, incapace di agire o fare qualsiasi cosa; anziché riprendermi da quello stato di prostrazione e reagire, in me si accresceva la sofferenza, al punto che si temeva prossima anche la mia fine, come mi confidò un confratello.

La Proroga è finita, ripeteva fra Daniele negli ultimi mesi, manifestando così la consapevolezza di ciò che lo attendeva: «Gesù mi chiama!». In silenzio, in realtà, lo ha incontrato senza recare fastidi o apprensione a familiari e confratelli. Questo avvenne d’estate quando amici e parenti erano lontani per ferie e lui poteva intensificare i suoi rapporti con Gesù e la sua Mammina. Il suo purgatorio terreno, ottenutogli per l’intercessione della Madonna e per le preghiere di Padre Pio a Gesù, dopo circa 40 anni, era finito.

Pongo all’attenzione dei lettori le ultime 24 ore di vita terrena di fra Daniele. Il cinque luglio, terminato il pranzo in casa di sua sorella, lo accompagno in via Cairoli e lo invito, dopo un breve riposo, ad una passeggiata nel bosco. Accetta volentieri e verso le ore 16, assieme a dui nipotini, Antonio Augello e Antonio Fiore, vado a prenderlo e ci dirigiamo al santuario di San Matteo in San Marco in Lamis. Dopo una breve sosta di preghiera, proseguiamo il nostro cammino recitando il Santo Rosario, fermandoci, di tanto in tanto, per goderci un po’ di fresco all’ombra degli alberi. Tornati a San Giovanni Rotondo mi chiede di essere riportato a casa, non volendo cenare, anche perché era in attesa di amici.

Diverse volte cerco di chiamarlo al telefono per augurargli la buona notte, ma non ho risposta. Comincio ad essere in ansia, ma la mamma dice di non preoccuparmi perché o era in cucina e non poteva sentire lo squillo del telefono, oppure, ad una certa ora distaccava il telefono per non essere disturbato. Rasserenato, vado a riposare. Sono circa la ore 8 del sei luglio, giorno che non dimenticherò mai; lo chiamo al telefono, come facevo ogni mattina, per sapere le sue intenzioni, ma anche questa volta, silenzio assoluto. Prima di recarmi in convento, decido di passare da lui.

Squilla il telefono; sento la sua voce e con un sorriso quasi ironico dice: «Cosa è successo? Perché non vi fate sentire? Che si fa questa mattina?». Sto per replicare ma mi trattengo e dico: «Sto venendo a prenderti per andare a celebrare la Santa Messa»; lui: «Allora ti appetto, vieni subito perché sono già pronto». Lungo il percorso nutro la speranza di trovare libera la cripta, dove riposa il corpo di Padre Pio, per potere celebrare la Santa Messa, abitualmente impegnata. Quella mattina, dopo tanto tempo, è libera e posso realizzare il mio desiderio. Anche lo zio Daniele è contento e mi accompagna all’altare; legge la sacra lettura ed il salmo responsoriale e, al momento della comunione, riceve Gesù sotto le due specie: Corpo e Sangue. Non pensavo minimamente che sarebbe stata l’ultima messa e l’ultima comunione a cui avrebbe partecipato. Come se prevedesse la sua fine, quella mattina, si intrattiene più del solito con i Confratelli che incontra e poi facciamo ritorno a casa.

Strada facendo mi accorgo che qualcosa lo tormenta; lo vedo un po’ più sofferente del solito e gli chiedo:

«Zio, cosa c’è? Non ti senti bene?». Risponde: «No! Non è niente…ho un dolore tremendo dietro la spalla, ma passerà…sono i postumi di artrosi che non mi lasciano mai in pace». Scendiamo dalla macchina e rivolto alla sorella, che era con noi, dice: «Senti, Felicetta, sali dalla dottoressa e dille che dopo l’ambulatorio passi da me». Era la dottoressa Maria Loreta Fini che aveva il suo studio vicino ed era stata altre volte a visitarlo. Gli dico che sarei tornato a prenderlo per il pranzo e, con mia madre, vado via.

Passa poco più di un’ora, sto per recarmi da lui, quando arriva un giovane, figlio della fioraia che ha il negozio a fianco dell’abitazione di fra Daniele; rivolto a mia madre dice: «Felicetta, Fra Daniele è stato ricoverato in Casa Sollievo, nel reparto di medicina, l’ho accompagnato io stesso».

Immediatamente, con la mamma, ci rechiamo all’ospedale, saliamo in fretta le scale, senza aspettare l’ascensore e andiamo nel reparto indicatoci; troviamo un amico dello zio, Aldo Sgarro. Appena ci vede, ci informa che fra Daniele è in infermeria col dottore. Busso alla porta e, senza aspettare risposta, entro. Il dottore Cela Piergiorgio, che conosco da quando era studente, lo sta interrogando; lo zio è seduto, dal suo volto traspare la sofferenza. Non resisto a vederlo in quelle condizioni e prego il dottore di mandarlo a letto. Prima di accontentarmi gli dice di stendersi sul lettino e gli prende la pressione: è normale. Esegue l’elettrocardiogramma: non nota anomalie. Non tranquillo lo manda nel reparto di Cardiologia.

Il dottore G. Marco Criconia, amico di fra Daniele, preavvisato dal reparto di Radiologia, esegue l’ecocardiogramma da cui risulta che il cuore è di dimensioni normali con una buona contrattilità.

Uscendo dall’ infermeria viene portato nella stanza n° 1; vedendomi dice di andare a casa senza preoccupazioni, perché non c’era motivo di restare. Vado via, ma non sono sereno. Anziché tornare a casa, cerco il dottore Franco Giuliani, marito della dottoressa Fini, che aveva prescritto il ricovero; chiedo notizie e mi rassicura: «Non ci sono motivi urgenti per temere. Però, le radiografie a cui l’ho sottoposto, hanno messo in evidenza la dilatazione dell’aorta. Pertanto ho ritenuto opportuno ricoverarlo per qualche giorno, per non farlo affaticare e per fare altre analisi». Ci diamo appuntamento per le ore 17.

Risalgo in reparto; lo zio è ancora in Cardiologia, rassicuro mia madre e vado via. Sono le ore 13 e 50 minuti. Saranno passati circa 15 minuti, dico a mia sorella Nunzia di andare a prendere della biancheria e un pigiama per lo zio; infatti era andato all’ospedale sprovvisto di tutto, convinto di tornare a casa subito.

In quello stesso momento squilla il telefono; è l’amico di fra Daniele che, singhiozzando, riesce solo a dire: «Nunzia corri, Fra Daniele non c’è più.» Restiamo senza parole. Non si può immaginare cosa sia passato, in quel momento, nei nostri cuori. Mi sentivo in colpa per non essere stato presente al suo transito. Corriamo all’ospedale; troviamo la mamma che piange, la stanza affollata da medici e da infermieri. C’era anche padre Innocenze Santoro, cappellano, che aveva da poco terminato di amministrare il Sacramento degli Infermi. Entro nella stanza e vedo lo zio disteso sul letto con le labbra semiaperte; resto come impietrito ed incapace di parlare e chiedere informazioni; riesco solo ad intravedere i presenti, medici ed infermieri, uscire silenziosamente commossi. Rimango con la mamma, mia sorella Nunzia e l’amico di Cerignola, mentre, ogni tanto, arrivano gli altri nipoti e qualche confratello.

Come svegliandomi da un sogno, rientro in me stesso e mi rendo conto che lo zio, fra Daniele, non è più in mezzo a noi. La realtà è evidente anche se la ragione si ribella; non è possibile! Non può essere! Non può terminare un’esistenza in questo modo! Però il cuore, animato dalla fede, accetta la Divina Volontà.

Voglio sapere cosa è avvenuto nei venti minuti in cui ero assente. Mi riferiscono: tornato in reparto, dopo l’ecocardiogramma, scende, senza l’aiuto di alcuno, dalla sedia a rotelle; sembra stanco e si siede sul lettino; sente come un peso sullo stomaco e chiede che gli venga portata una bacinella. Un sudore freddo gli scende sul volto, impallidisce, si guarda attorno e si riversa sul letto con i piedi penzoloni. La sorella cerca di stenderlo, ma da sola non ci riesce. Toccandolo lo sente freddo e si accorge che il fratello sta giungendo alla fine; chiede aiuto. Prima che arrivino gli infermieri e i dottori, fra Daniele, il un ultimo sforzo, si alza in piedi, rivolge gli occhi verso l’alto, emette due o tre respiri profondi e si abbandona, definitivamente, senza vita sulla spalle dell’amico. Sono le ore 14 e 12 minuti.

Le lancette dell’orologio, che si trova in casa di fra Daniele, si fermano alla stessa ora.

 

 

 

 

 

 

(tratto da “Fra Daniele racconta…le sue esperienze con Padre Pio” di Padre Remigio Fiore cappuccino – Edizioni Frati Cappuccini 2001)

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