Questo episodio ha lo scopo di immetterci nell’intimo del cuore di fra Daniele, farci scoprire la gentilezza e la delicatezza della sua anima, farci capire l’affetto che lo legava a Padre Pio e, nello stesso tempo, la fiducia che i confratelli e i superiori nutrivano nei suoi riguardi, umile e semplice fratello laico, rimasto tale per sua libera scelta (Cfr. Fra Daniele Natale – Cappuccino). Le varie mansioni affidategli dai superiori: portinaio, telefonista, sacrista, questuante, cuciniere, le espletava con tanta serenità e ilarità manifestando, ai confratelli e a coloro che lo avvicinavano, l’amore di Dio che sentiva dentro di sé e che aveva appreso dal suo maestro e padre spirituale: Padre Pio. Fra Daniele, col suo impegno e la sua inventiva, si era specializzato nell’arte culinaria, diremmo oggi, anche se in lui, tutto ciò poteva apparire una capacità naturale. Qualche confratello, allora studente a Montefusco (Av), lo ricorda come un bravo fratello laico devoto e rispettoso, preciso e svelto nel suo lavoro di cuoco: preparava, diceva, il pranzo e la cena per oltre sessanta persone senza mai lamentarsi o infastidirsi, cercando sempre di accontentare tutti.
L’abilità di cuciniere gli rimase, anche dopo aver perso l’olfatto, fino al giorno in cui rese la sua bell’anima a Dio; a questo riguardo qualcosa potrebbero raccontare gli amici, che andavano a trovarlo a casa e che lui invitava a pranzo, specialmente quando vi si trovava per ragioni terapeutiche o altre necessità di salute. Tante volte, fra Daniele ci raccontava dei fatti che hanno del prodigioso: del resto non c’era da meravigliarsi perché lui stesso diceva che, quando cucinava, vi erano gli Angeli che lo aiutavano. Il ventidue gennaio 1953, ricorreva il 50° di vestizione religiosa di Padre Pio e fra Daniele, venne chiamato a preparare il pranzo per l’occasione. Ecco com’egli ricorda quella ricorrenza: «Il padre Raffaele da Sant’Elia a Pianisi (Cb), superiore del tempo a San Giovanni Rotondo, conoscendo le mie doti di cuciniere e la mia disponibilità, benché fossi ancora convalescente per un intervento, chiese ed ottenne dal P. Provinciale, padre Antonino da Sant’Elia a Pianisi, che fossi mandato, per alcuni giorni, dal convento di Foggia, dov’ero residente, in quello di San Giovanni Rotondo, per preparare la festa in onore di Padre Pio, sostituendo, nello stesso tempo, fra Luigi da Campobasso, non adatto per queste grandi occasioni. Ero felice. Per Padre Pio, oltre all’obbedienza, avrei fatto qualunque altra cosa, non solo per riconoscenza al bene che mi voleva, ma anche per ringraziarlo per tutto ciò che operava in me. Il padre Superiore, ch’era anche economo del convento, mi chiama nella stanza per darmi alcuni suggerimenti, poi mi dice: “Guarda, fra Daniele, io ho molta fiducia in te e so che posso fidarmi; in giardino c’è una macchina con l’autista a tua disposizione. Scendi a Foggia e compra tutto ciò che ti sembra necessario per la festa di Padre Pio”. La sera, prima della festa, avevo quasi preparato tutto, per cui, la mattina dopo potei non solo partecipare alla Santa Messa del Padre, ma anche accompagnarlo all’altare col padre Provinciale. Qualche giorno dopo, il fotografo mi consegna delle fotografie da far vedere al Padre. Padre Pio, dopo averle guardate, con un sorriso, mi dice: “Uagliò, a me pare che la festa l’abbiano fatta per te e non per me: guarda in quante fotografie ci sei e stiamo insieme… come sei venuto bene!…”. Non è quest’osservazione del Padre che volevo raccontarvi, ma quello che è successo a pranzo.
Erano presenti vari confratelli arrivati, per l’occasione, dai conventi della Provincia; vi era anche il padre Generale dell’Ordine: padre Benigno da Sant’Ilario Milanese, venuto da Roma con alcuni suoi amici, il padre Provinciale e molti invitati, tra i quali il fratello di Padre Pio, “zi Michele”, un nipote, il marito della nipote Pia, Mario Pennelli ed altri. Tra gli invitati vi era anche il celebre tenore Beniamino Gigli, amico dei frati e devoto di Padre Pio, che spesso veniva invitato a cantare, come in quell’occasione, la canzone “Mamma”, che provocava commozione in Padre Pio. Il pranzo era stato preparato con impegno ed era riuscito veramente bene, tanto che Padre Pio, passandomi vicino, mi dice: “Uagliò…, ma tu dove hai imparato a cucinare così bene e a preparare dei piatti così squisiti?”. Rispondo: “Padre, io li preparo ma, vicino a me, ci sono gli Angeli che mi aiutano”. “Ho capito -riprende il Padre – questo volevo sentirti dire”. Avevo preparato una sorpresa per Padre Pio. C’erano due zuppiere di creta, che servivano per mettervi delle minestre, dotate di coperchi con fori per i mestoli. Una di queste l’avevo riempita con più di cinque chili di confetti; nell’altra, invece, vi avevo messo cinquanta uccellini di varie specie: ognuno di questi uccelli portava, legato ad una zampina, un biglietto con scritte diverse: “Viva San Francesco, viva Padre Pio, viva il sacerdozio, viva i figli di San Francesco, viva i Cappuccini”. Prima che il pranzo finisca, noto che Padre Pio si alza per uscire; rimango un po’ perplesso ed anche dispiaciuto perché non avevo ancora scoperto la sorpresa, che avevo preparato con tanta cura. M’avvicino e dico: “Padre, adesso che viene il bello, ve ne andate?”. Padre Pio: “Eh sì, figliolo, mi sono stancato. Vado sopra a gettarmi un po’ sulla sedia”. Ed io: “Allora, Padre, prima che ve ne andiate, benedite questi vassoi”.
Forse Padre Pio si era accorto che cercavo di tenerli chiusi, per cui dice: “A patto e condizione che, prima, mi fai vedere cosa c’è dentro”. Ed io: “Ma no, Padre, benediteli prima”, e mentre parlo, tolgo il coperchio al vassoio pieno di confetti. Padre Pio li benedice, vi passa la mano dentro, come per toccarli tutti e, poi: “Posso prenderne un poco?”. Io: “Padre, sono tutti per te”. Ne prende un poco e li mette nella tasca dell’abito. Approfitto di questo momento per presentargli l’altro vassoio e, questa volta, senza dire niente, lo benedice. Tolgo il coperchio e, dopo un attimo d’esitazione, gli uccelli volano per il refettorio tra la sorpresa e la meraviglia, non solo di Padre Pio, ma di tutti i presenti.
Padre Pio, visibilmente commosso, esclama: “Oh, che meraviglia! Come hai fatto?”. Io: “Padre, sono sentimenti filiali e di amore…poi anche gli uccelli avranno la loro libertà”. Il Padre: “Come hai potuto pensare una cosa simile?”. Io: “Padre, sono cose che capitano”. Accompagno Padre Pio fino alle scale e ritorno al refettorio; noto il padre Generale e Beniamino Gigli che cercano di prendere un uccellino che si era posato sulla cornice di un quadro; dopo un po’ riescono a catturarlo. Gli altri uccellini, senza paura, si erano posati sulle mense dov’erano i frati e, senza “timore riverenziale”, beccavano delle briciole.
Vederli era una scena simpatica, veramente francescana, che concludeva una festa altrettanto bella e meravigliosa».
(tratto da “Fra Daniele racconta…le sue esperienze con Padre Pio” di Padre Remigio Fiore cappuccino – Edizioni Frati Cappuccini 2001)